PlanBee è stata invitata alla festa ‘Unilever – 50 anni insieme’ per celebrare mezzo secolo di presenza in Italia di una delle principali aziende al mondo per i mercati Food, Home e Personal Care.
Con sede centrale a Roma, Unilever Italia impiega oggi circa 3500 persone su 5 stabilimenti produttivi, generando un fatturato (nel 2015) di 1,4 miliardi di Euro.
Un elemento che contraddistingue quella che è a tutti gli effetti una delle maggiori realtà produttrici di beni di largo consumo nel nostro Paese, è l’Unilever Sustainable Living Plan (USLP), piano per la crescita sostenibile dell’azienda volto a ridurre l’impatto ambientale dei suoi prodotti.
Entriamo nella sede di Unilever Italia e veniamo condotti in una sala adibita alla conferenza stampa: sulle pareti, alcune infografiche illustrano le tappe principali del successo italiano dell’azienda, oltre a descrivere puntualmente i macro-obiettivi del USLP.
Tra questi, aiutare più di un miliardo di persone a migliorare le loro condizioni di salute e il loro benessere entro il 2020, dimezzare l’impatto ambientale dei prodotti Unilever entro il 2030 e migliorare le condizioni di vita di milioni di persone entro il 2020. Grazie al Unilever Sustainable Living Plan, nel 2016, Unilever si è classificata in prima posizione all’interno del Dow Jones Sustainability Index.
Le luci di abbassano e le immagini diffuse da un proiettore ci riportano istantaneamente alla nostra infanzia: sono ancora vividi i ricordi di prodotti come Coccolino, Dove, Fissan, Mentadent, Algida, Lipton… Da 50 Anni Unilever entra nelle nostre case con la sua comunicazione. Che impatto hanno avuto questi prodotti sulle nostre vite? L’azienda ha commissionato una ricerca (Ales Market Research) per verificare quanto i marchi del gruppo siano stati presenti nella vita delle famiglie italiane negli ultimi 50 anni, interrogandosi poi sulla propria missione di sostenibilità e su cosa sia possibile fare in futuro.
Da questa indagine è emersa l’attenzione che le persone hanno dedicato nel tempo alle innovazioni tecnologiche legate all’ambiente: in molti ricordano infatti le eco-ricariche per il detersivo, ma anche l’impegno del gruppo per garantire un’agricoltura sostenibile nei suoi campi di té.
Interessante notare come, nei tre ambiti di sostenibilità (ambiente, società, salute e benessere), le donne della fascia di età 35-40 anni percepiscono queste tematiche come prioritarie, forse perché è il momento in cui molte diventano madri e iniziano a pensare più concretamente al futuro dei figli. Ma che differenza possono fare i consumatori per il pianeta? Donne e giovani (di età compresa tra i 18 e i 34 anni) si dimostrano essere la fascia su cui è più conveniente investire oggi per comunicare la sostenibilità e perseguire un vero cambiamento.
Su questo tema si apre il confronto tra Angelo Trocchia (AD Unilever Italia), Massimiliano Dona (Segretario Generale dell’Unione Nazionale Consumatori) e Paolo De Nardis (docente di Sociologia presso l’Università la Sapienza di Roma), moderati da Maria Latella (conduttrice di Sky TG 24).
Per Angelo Trocchia la sostenibilità è strettamente legata al concetto di responsabilità. L’azienda si pone verso il consumatore con attenzione, intendendo la sostenibilità non come greenwashing ma come mission: “Come emerso dalla ricerca, donne e giovani sono i soggetti più attenti a queste tematiche. Dobbiamo lavorare insieme al consumatore per far sì che cambi il suo stile di vita in modo da avere un impatto positivo su ambiente e società”. L’AD aggiunge: “Mentre in passato si poteva parlare di aziende e società, oggi le due figure sono in osmosi continua: sei la stessa persona da dipendente Unilever e da consumatore. Avere più donne in ufficio ci aiuta a capire più il mercato, e mantenere una media di età molto bassa in azienda ci aiuta a comprendere meglio i millennials”.
Massimiliano Dona interviene definendo il ruolo delle donne fondamentale rispetto alle scelte di acquisto che compie la famiglia: “Gli altri attori degli acquisti sono oggetto di un marketing sempre più schizofrenico, soprattutto sul versante alimentare. Siamo arrivati ad un ‘marketing del senza’: prodotti senza zucchero, senza grassi, senza lattosio, senza glutine e senza olio di palma. Sono prodotti scorciatoia e in questa schizofrenia, molti consumatori comprano prodotti per diete specifiche senza averne bisogno. La sostenibilità, se legata al concetto di responsabilità, si deve concretizzare anche dando informazioni base in maniera chiara. L’intervento dell’avvocato prosegue con un suggerimento: “L’azienda seriamente responsabile deve dare messaggi coerenti e seri: probabilmente non è possibile fare educazione negli spot, che per loro natura sono brevi e costosi, ma una sana divulgazione è possibile. I consumatori provano malessere, mandano mail all’Unione Nazionale Consumatori per suggerire cosa non va. Bisogna ascoltarli.”
La chiacchierata continua a ritmi serrati con l’intervento di Paolo De Nardis: “Il cambiamento antropologico del consumatore a fronte di quasi 10 anni di crisi economica è evidente. Non è più disinformato e disarmato e quando acquista, accusa di più il sacrificio della spesa e sta più attento alla qualità del prodotto. Questo meccanismo può far cadere la fiducia tra azienda e consumatore. Osmosi e dialogo tra consumatore e azienda ci sono sempre stati, ma ora viene data maggior importanza alla fiducia intesa come capitale sociale. Questa è sostenibilità.” Il sociologo, poi, precisa: “La competizione, in passato, si basava sull’essere i migliori sul mercato, in questi anni – attraverso l’etica della responsabilità – la sfida è diventata quella di scommettere che si possa fare qualcosa di più, qualcosa che riesca a trascendere e superare il discorso del mero profitto. Il profitto può non fare a pugni con la funzione sociale e con la green economy. Siamo di fronte ad una reductio ad unum della questione ambientale da parte del consumatore: il tema ecologico e quello sociale devono andare di pari passo”.
Parlando degli obiettivi di Unilever Italia, l’Amministratore Delegato conclude il suo intervento con un monito: “Non possiamo e non dovremo mai dimenticare il nostro DNA e le nostre radici. Dovremo invece costruirci sopra stando attenti a non rimanerne schiavi. Guardare dove va il consumatore deve essere la nostra ossessione per evitare di diventare come Kodak o Blackberry, colossi che hanno fatto l’errore di restare troppo chiusi e attaccati al loro passato”.
Massimiliano Dona chiude la conferenza suggerendo: “Non siamo in un’epoca di cambiamenti ma è il cambiamento di un’epoca. Cambia la casa, cambia la tecnologia intorno a noi. In futuro, dal nostro punto di vista, se è vero che i mercati sono luoghi di conversazione tra produttori e consumatori, un’associazione dei consumatori moderna deve cessare di essere solo su una sponda e imparare a diventare moderatore di quelle conversazioni. Le aziende chiedono occasioni di incontro con la cittadinanza. Perfino Facebook, in Italia, chiede all’Unione dei Consumatori un momento di incontro fisico per veicolare concetti che non riesce a spiegare con strumenti digitali: innamorarsi della modernità e del digitale rischia di lasciare indietro qualcosa”.
Dal nostro punto di vista, anche alla luce di questo interessante incontro, le strategie di CSR rappresentano un’ottima soluzione per ottenere grandi vantaggi in termini di reputazione, visibilità e percezione da parte gli stakeholder. L’utilizzo di uno strumento come il crowdfunding civico nella strategia di Responsabilità Sociale d’Impresa rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti in questa direzione, poiché permetterebbe di coinvolgere attivamente i singoli individui, rendendoli parte attiva dell’impegno dell’azienda sul territorio. Questo è un esempio di quello che PlanBee potrebbe fare per le aziende.